Costruire con il modellismo navale

In questo sito potrete trovare una vastissima raccolta di piani costruttivi di modelli di navi trovati nel web.Inoltre troverete sezioni dedicate a foto e filmati sempre scaricati dalla rete.

domenica 18 gennaio 2009

le bacheche

Il nemico numero uno dei nostri modelli è la polvere.
Questa attacca in breve tempo il legno le vele ed il refe in modo tenace che per toglierla spesso crea grossi disagi.
Il modo più semplice ed economico consiste nello spennellare le parti con un pennello dalle setole morbide e lunghe.
Il rovescio della medaglia però comporta che tale lavoro, affinché sia efficace, dovrà essere fatto tutti i giorni od al massimo a giorni alterni.
Per faticare meno, è possibile soffiare aria a bassa pressione e comunque con la stessa cadenza temporale del pennello.
Per ovviare a tutto questo e per mantenere il modello sempre in ottime condizioni ricorriamo all’utilizzo della bacheca.
Questa consta di un piano di base più o meno lavorato, intonato all’ambiente nel quale verrà posizionata ed una scatola di vetro o plexiglass poggiata sul piano stesso (come se fosse un acquario rovesciato).
Il modello andrà vincolato al centro della base e sarà quindi protetto, oltre che dalla polvere, anche da urti accidentali.
LA BACHECA (costruzione)
Ogni modello è sempre esposto ad urti accidentali ed a raccogliere quanta più polvere possibile, specialmente le vele ed il sartiame.
Per ovviare a questo, bisogna scegliere di posizionarla in un luogo lontano dalla portata di chi guarda con le mani anziché con gli occhi ed armarsi di quanto detto prima.
La costruzione della bacheca non è complicata ed è divisa in due parti: la base e la vetrina.
La costruzione della base può essere fatta in vari modi che andremo qui di seguito ad esaminare.
In primo luogo occorre prendere le misure fuori tutto del modello compreso d’invasatura poi aggiungere dai cinque ai dieci centimetri in più per lato.
Le dimensioni risultanti saranno quelle interne della vetrinetta.
Si è detto interne perché la misura esterna varia al variare dello spessore del cristallo e questo aumenta con l’aumentare delle dimensioni della vetrina.
Conoscendo ora questi elementi passiamo alla costruzione del piano.
Acquisire un piano dello spessore che va dai dieci millimetri in su (sempre relativo alla grandezza del modello) avente le dimensioni dei lati come quelle interne della vetrina.
Fare un secondo piano con dimensioni maggiorate rispetto al precedente pari allo spessore del cristallo usato.
Incollare, centrandolo, il piano piccolo su quello grande in modo da formare un corpo unico avente un dente perimetrale dove verrà poi poggiata la vetrinetta.
Fissare al centro di questo l’invasatura.
Per quanto riguarda il tipo di legno da usare è certamente migliore un massello, che poi sia di noce, di rovere, di mogano o del rosso paduca scegliete voi.
Nessuno vieta eventualmente di usare del compensato multistrato per poi rivestirlo con fogli d’impiallacciatura o di tranciato di legno pregiato.
Per tale scopo occorre rammentare di tener conto dello spessore del rivestimento e che questo è conveniente incollarlo con della colla a contatto tipo Bostik.
Questo tipo di colla va spalmata su tutte e due le superfici da incollare, attendere qualche minuto finché, passando con le dita, non appiccichi più dopodiché unire le due parti pressandole.
Porre attenzione durante l’applicazione a posizionare bene i pezzi perché la presa è istantanea e non e più possibile rimuovere le parti.
Per questo motivo è conveniente abbondare nelle dimensioni del rivestimento che andrà poi, ad incollaggio ultimato, rifilato.
La costruzione della vetrina probabilmente sarà conveniente affidarla ad un buon vetraio sia per quanto riguarda il taglio, la molatura (viene chiamata filo lucido) dei pezzi, il consiglio sullo spessore da usare e l’eventuale incollaggio degli stessi.
Spesso non conviene incollarceli da soli ma se qualcuno di voi vuol farlo è bene munirsi di:
8 morsetti di quelli usati per le cornici.
colla al silicone con relativo dispenser.
lametta.
incollare dapprima i quattro lati verticali vincolandoli con i morsetti;
lasciare asciugare per ventiquattro ore;
pulire l’eccesso di colla rifilando il cordoncino che si è formato con la lametta;
incollare il coperchio ed attendere di nuovo l’essiccazione della colla;
ripetere l’operazione di pulizia;
infine detergere tutto con dell’alcool e carta di giornale.
La stessa lavorazione descritta per il vetro vale anche nel caso si voglia utilizzare la materia plastica, l’unico appunto è quello di non usare colla al silicone ma una adatta al tipo di plastica che si è preso in considerazione.

VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Per incrementare la decorosità della bacheca si possono incollare lungo il perimetro esterno della base una cornice.
La scelta però deve essere oculata, nel senso che è bene tenere conto sia dell’epoca della nave che dell’arredamento del locale dove andrà inserita la bacheca stessa.
Un’ulteriore accessorio potrebbe essere l’illuminazione.
In questo caso occorre dimensionare la base in modo da poterci inserire l’impianto elettrico con i porta lampade (una per lato orientati verso il modello).
Le lampade da usare devono essere degli spots a bassa tensione i quali concentrano il fascio in un raggio ristretto e quindi la luminosità non si disperde all’esterno della bacheca. L’interruttore ed il filo d’ingresso della corrente verrà sistemato sul lato che sarà più nascosto rispetto l’osservatore.

le invasature

Le invasature servono per supportare il nostro modello navale in posizione normalmente orizzontale (anche se a volte si preferisce un pochino inclinato) e stabile anche in casi di urti involontari di una certa entità.
LE INVASATURE (costruzione)
La costruzione delle invasature lascia libero sfogo alla creatività del modellista.
Quella più semplice consiste nel costruire due supporti verticali uniti tra loro da due fasce o listelli orizzontali.
Nei piani costruttivi sono disegnati già i pezzi che si dovranno riportare su legno con lo stesso sistema usato per le ordinate.
Però poiché il disegno su carta e la realtà fisica del modello da noi costruito non è mai perfettamente identica, sarebbe opportuno riportare i pezzi suddetti non direttamente su legno ma su cartoncino.
Tagliato il cartoncino lo presentiamo sullo scafo verificando le eventuali discrepanze aggiungendo o togliendo materiale rispettivamente se c’è aria oppure se è troppo chiuso (vedi la costruzione del falso ponte).
Se gli errori sono molti è conveniente rifare il pezzo.
Una volta definito con il cartoncino, riportare la sagoma su legno e segare.
E’ preferibile, da un punto di vista estetico, di utilizzare una tavoletta di massello di noce ed unire, spaziandoli, i due supporti con due listelli dello stesso tipo di legno.
In alternativa al posto di questi supporti si utilizza una base in legno, proporzionata al modello, e su questa fissate tramite spine in legno duro, per esempio il ramino, due colonnine tornite aventi all’estremità superiore uno scasso nel quale verrà inserita la chiglia.
Al centro della base o sulla fascia di unione viene applicata la targa di identificazione.
La targa può essere acquistata, ce ne sono di vari tipi, o costruita.
Se vogliamo farcela da soli utilizziamo il supporto che più ci aggrada, legno, ottone, rame ecc. e scriviamo il nome del modello e l’epoca oppure la data se è certa con le lettere trasferibili.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Come accennato prima la cosa è molto soggettiva, l’unica attenzione che si deve tenere è quella di scegliere le forme ed i materiali adatti all’epoca.
Avremo quindi forme più curve ed incise per navi del 1400 - 1600, avremo invece forme più lineari per i modelli del 1700 - 1800.
Alternativamente ai supporti descritti possiamo utilizzare anziché le colonnine od i supporti sagomati,
delle fusioni metalliche reperibili in commercio raffiguranti delfini o draghi marini con posizioni tali da permettere alle code di sostenere lo scafo.

l’animazione

Per aumentare la quantità di dettagli di un modello navale è possibile, dal momento che si trovano in commercio, animarlo con figurine in scala rappresentanti capitani e marinai in svariate posizioni che raffigurano gli atteggiamenti più usuali.
Bisogna però fare molta attenzione ad introdurre questi personaggi perché si deve considerare il fatto che gli equipaggi erano assai numerosi, fino a svariate centinaia di uomini nel caso di grandi vascelli, e quindi sarebbe un controsenso dislocarli sei od otto per il modello.
Con questo non voglio dire di metterne quanti come nella realtà ma almeno far notare che ce ne sono in buona quantità.
L’ANIMAZIONE (costruzione)
I figurini rappresentanti i marinai sono in piombo, anche se in effetti sono composti anche da altre leghe, e quindi non esiste una vera e propria costruzione a meno che non siamo degli scultori provetti.
Si presenta invece un lavoro di verniciatura che deve essere eseguito nel migliore dei modi per mettere bene in evidenza i numerosi dettagli presenti.
Innanzitutto bisogna stendere una mano di fondo (primer) per migliorare l’adesione della vernice.
La prima cosa da colorare sono gli occhi partendo dalla pupilla per poi circoscriverla con il bianco del bulbo.
In questo modo risulta più semplice la colorazione e soprattutto evita lo strabismo che spesso si vede nelle realizzazioni.
Successivamente si passa al resto del corpo usando gli altri colori, dal più chiaro al più scuro.
Per eventuali sovrapposizioni attendere che si sia ben asciugato quello che poi verrà coperto.
Per gli ufficiali colorare le calzature in nero od in marrone, i pantaloni e la camicia bianchi, il gilet ed il giaccone rosso se francese o blu se inglese con bordure in oro, il copricapo in nero.
Per i marinai semplici colori scuri, quali il blu, il verde, il nero ed il marrone e raramente il bianco ed il rosso.
Preferire sempre i colori opachi anziché lucidi perché rendono meglio l’effetto della stoffa, tutt’al più il colore lucido sarà destinato al nero delle scarpa degli ufficiali. Naturalmente tutto ciò che riguarda la colorazione è una traccia di massima generalizzata, dobbiamo rammentare che gli equipaggi dei vascelli e comunque di navi ai servizi reali indossavano delle vere e proprie divise come per le fanterie a terra, quindi se il modello costruito ne merita sarebbe giusto documentarsi ulteriormente (magari uscirà un’altra mia pubblicazione in proposito) sui colori specifici della nazionalità e dell’epoca in cui sono vissuti.

le bandiere

Le bandiere sono drappi colorati di molteplici forme e colori indicanti la provenienza nazionale della nave, l’armatore, il casato.
Oltre alle bandiere nazionali vi erano bandiere piratesche, bandiere di segnalazione e di gran pavese.
LE BANDIERE (costruzione)
La costruzione delle bandiere solitamente non viene effettuata poiché sono commercializzate e stampate con macchinari adatti in modo da avere più dettagli possibili nei disegni più complicati.
C’è da dire che quando si ritagliano, il bordino perimetrale della bandiera deve rimanere per evitare la sfilacciatura che altrimenti avverrebbe.
Generalmente il lato che deve essere usato per fissare la bandiera presenta una superficie prolungata nella quale, una volta piegata, riceve il cordino per issarla.
Incollare il bordino con all’interno il cordino con colla cellulosica o vinilica e tenere premuto il lembo piegato con delle mollettine.
Legare le bandiere alle rispettive aste.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Difficilmente il modellista navale si autocostruisce le bandiere, per chi desidera farlo operare come segue.
Acquisire della stoffa molto fina, la stessa usata per la costruzione delle vele, denominata pelle d’uovo oppure del percalle.
Disegnare sulla stoffa il soggetto con una matita dalla mina molto morbida, per esempio una 2B senza calcare, poi colorare gli spazi con appositi colori per stoffe.
Eseguire questo lavoro su tutti e due i lati e lasciare asciugare perfettamente.
Tagliare i contorni della bandiera e, lungo il perimetro nel senso dello spessore, passare una leggera pennellata di colla vinilica diluita (come se fosse latte) la quale permette dopo l’essiccazione, di non far sfilacciare la stoffa.

le manovre correnti

Le manovre correnti sono tutti quei sistemi di funi atti a manovrare i pennoni e le vele.
Queste manovre sono così suddivise:
amantigli, drizze, bracci, mure, scotte, imbrogli, boline, ritenute della boma ed ostini dei picchi.
Gli amantigli sono quelle manovre che reggono l’estremità del pennone per tenerlo orizzontale.
Le drizze sono tutte quelle manovre atte ad alzare le vele. I nomi delle drizze sono gli stessi di quelli delle vele a cui appartengono.
I bracci sono tutte quelle manovre fissate all’estremità dei pennoni e servono per orientali per le diverse andature.
Le mure sono cavi che tirano e fissano verso prua l’estremità inferiori delle vele.
Le scotte sono invece cavi che tirano e fissano verso poppa l’estremità inferiore delle vele.
Gli imbrogli sono cavi che servono per ammainare le vele e raccoglierle ai pennoni.
Le boline sono un’insieme di cavi che tendono i lati verticali delle vele verso prua in modo da stringere il vento.
Le ritenute della boma sono i due paranchi formati da altrettanti bozzelli poste alla base della boma per tenerla verso il basso e regolarne l’escursione.
Gli ostini sono cavi che tengono, lateralmente, i picchi.
LE MANOVRE CORRENTI (costruzione)
La costruzione delle manovre correnti, per quanto riguarda stroppature e protezione dei cavi, seguono le stesse lavorazioni di quelle fisse.
La differenza risiede nel fatto che le manovre correnti, essendo mobili non sono trattate e risultano di colore canapa naturale, hanno bisogno di essere legate e slegate.
Per questo motivo vengono assicurate a particolari attrezzi chiamati caviglie che sono perni in legno sistemati su rastrelliere chiamate cavigliere o pazienze poste lateralmente ed internamente alla nave ed ai piedi di ogni albero maggiore.
La legatura alla caviglia viene chiamata volta.
Esaminiamo ora le varie manovre che per semplicità di descrizione e di comprensione descriviamo l’iter dei passaggi.
Amantigli: partono dalla varea del pennone, passano attraverso i bozzelli posti sulla testa di moro e scendono al piede d’albero.
Drizze: generalmente doppie nei pennoni maggiori, partono con una gassa d’amante sul pennone, attraversano la testa di moro e finiscono su un bozzello triplo il quale arrida con un bittone saldamente fissato ai bagli.
Bracci: vanno distinte a seconda della destinazione.
Bracci di trinchetto, partono come dormienti sulla gassa dello straglio di maestra, passano attraverso un bozzello ad un occhio fissato sull’estremità del pennone, ritornano in un bozzello a due occhi stroppato sulla stessa gassa, poi passano attraverso un’altro bozzello fissato sulla prima sartia verso prua per attraversare, scendendo lungo l’albero, un’ulteriore bozzello posto sul ponte per poi essere fissato a caviglia.
Bracci di parrocchetto, seguono lo stesso itinerario di quelli di trinchetto.
Bracci di pappafico di trinchetto, partono dal pennone, passano in un bozzello fissato sulla gassa dello straglio di gabbia, poi in un altro bozzello fissato a poppavia della coffa, scendendo lungo l’albero di maestra ripassano attraverso un bozzello fisso sullo straglio di maestra, attraversano poi un ultimo bozzello vincolato a capodibanda di poppa per poi finire a caviglia.
Bracci di contropappafico di trinchetto, partono dall’estremità del pennone, attraversano un bozzello posto sullo straglio di gabbia maestra, passano in un bozzello fissato all’incappellatura dell’albero di trinchetto per finire poi sulla caviglia del capodibanda del castello di prua.
Bracci di maestra, partono come dormienti da un anello posto esternamente sopra i giardinetti, passano in un bozzello ad un occhio fissato sull’estremità del pennone, ritornano a poppa attraversando un bozzello ad un occhio posto sull’impavesata del casseretto e lì, vicino al bozzello legati alle rispettive caviglie.
Bracci di gabbia maestra, partono da dormienti sulla gassa dello straglio di mezzana, passano attraverso un bozzello stroppato sul pennone, ritornano verso l’albero di mezzana attraversando un bozzello,passano poi in un’ulteriore bozzello posto sulla sartia maestra poppiera a circa 2/3 di altezza per poi arrivare in un ultimo bozzello fissato sul ponte e voltato a caviglia.
Bracci del pappafico di maestra, partono dal pennone, passano attraverso un bozzello sulla crocetta dell’albero di contromezzana, attraversa la coffa per finire a caviglia.
Bracci di contropappafico di maestra, partono dai pennoni, passano attraverso un bozzello fissato sull’albero di belvedere, scendono lungo l’albero, attraversano la coffa per finire a caviglia.
Bracci di verga secca, partono come dormiente sulla sartia di maestra a circa 2/3 dell’altezza, attraversano il bozzello fissato sull’estremità del pennone, ritornano sulla stessa sartia, attraversano un bozzello per raggiungere poi la caviglia.
Bracci di contromezzana, seguono lo stesso itinerario con il bozzello di ritorno posto immediatamente sotto il trilinaggio.
Bracci di belvedere, partono dal pennone, passano attraverso un bozzello fissato sulle sartie di gabbia maestra per arrivare a caviglia (da notare che i bracci relativi sono incrociati per favorire un maggior angolo di tesata).
Bracci della civada, partono come dormienti dallo straglio di trinchetto, passano attraverso un bozzello vincolato all’estremità del pennone, ritornano su un bozzello immediatamente al di sotto del dormiente, attraversano un bozzello di rinvio posto ai piedi del bompresso per arrivare alla caviglia sul castello di prua.
Bracci di controcivada, partono dal pennone, attraversano un bozzello posto nella parte bassa dello straglio di parrocchetto, passano poi in un altro posto sullo straglio di trinchetto, infine attraverso la rastrelliera di bompresso finiscono a caviglia.
Bracci dell’alberetto di parrocchetto di bompresso, seguono le stesse fasi del pennone di civada ad eccezione del bozzello di rinvio che si trova sul bompresso stesso.
Mure: come per i bracci anche queste vanno distinte a seconda della loro destinazione.
Mure di maestra, partono dalla bugna della vela, attraversano un bozzello fissato fuoribordo e finiscono in galloccia attraversando la murata provvista di puleggia chiamata buco di mura.
Mura di granfiocco, passa attraverso un foro eseguito sull’estremità dell’asta del fiocco e fissata al violino di bompresso.
Mura del secondo fiocco, viene fissata al cerchio di mura del fiocco.
Mura del terzo fiocco, viene fissata all’albero di bompresso.
Mura della trinchettina, viene fissata tra lo straglio ed il controstraglio di trinchetto.
Mura della gran vela di straglio, viene fissata alla pazienza di trinchetto.
Mura di straglio di gabbia maestra, come la precedente.
Mura di straglio di pappafico, viene fissata all’incappellatura di trinchetto.
Mura di straglio di mezzana, viene fissata alla pazienza di maestra.
Mura di straglio di contromezzana, viene fissata allo straglio di mezzana.
Mura di straglio di belvedere, viene fissata alla gabbia di maestra:
Scotte: vengono elencate come le precedenti.
Scotte della vela di maestra: partono come dormiente fuoribordo fissate ad un’anello sull’incintone sopra i giardinetti, passano attraverso un bozzello fissato sulla bugna, poi in un’ulteriore bozzello fuoribordo, rientrano sotto il cassero per poi arrivare a galloccia.
Scotte della vela di trinchetto, come sopra ma con rientro sul secondo ponte.
Scotte della vela di mezzana, parte da dormiente su un bozzello sito al piede dell’asta di bandiera, passa attraverso il bozzello di bugna, ritorna al primo bozzello e poi a galloccia.
Scotte delle vele di gabbia, partono dalla bugna, attraversano il bozzello doppio posto sull’estremità del pennone, successivamente in un secondo bozzello al centro del pennone, scendono lungo l’albero fino al bittone e poi alla caviglia.
Scotte di parrocchetto e di contromezzana, come sopra.
Scotte di pappafico, sono gli stessi cavi degli amantigli, questi partono come dormiente dal bozzello fissato sotto la crocetta, attraversano il bozzello fissato sul pennone, ritornano al bozzello di crocetta e poi lungo l’albero fino alla caviglia.
Scotte di civada, partono dal dormiente dallo stesso punto di quello di trinchetto, passano attraverso un bozzello legato con un lungo cavo alla bugna ed arrivano ad una galloccia sul secondo ponte.
Scotte di straglio, costituite da due paranchi di cui un bozzello fissato al ponte e l’altro alla bugna, attraversano il bozzello di ponte, il bozzello di bugna e tesati su gallocce.
Scotte dei fiocchi, come sopra e tesati sulle gallocce del castello di prua oppure sotto le sartie di trinchetto.
Anche gli imbrogli seguono la stessa nomenclatura che é descritta qui di seguito.
Gli imbrogli per le vele maggiori sono:
Caricabugne, uno per ogni bugna, partono dal dormiente sul pennone, passano attraverso il bozzello di bugna, ritornano attraverso un bozzello sul pennone vicino al dormiente deviato da un altro bozzello sito sulla crocetta, scendono lungo l’albero ed infine voltati a caviglie.
Caricafondi, due per lato, parte in prossimità della bugna, corre in parte lungo la ralinga, risale a proravia della vela, attraversa un bozzello sul pennone, poi un altro doppio sotto la coffa per finire poi in cavigliera.
Caricaboline, due per lato, utilizzano la stessa tecnica del precedente ma queste partono dalle ralinghe di caduta.
Gl’imbrogli delle vele di pappafico sono soltanto i caricabugne.
Gl’imbrogli delle vele di civada e controcivada, sono soltanto i caricabugne i quali partono dalle bugne, attraversano il bozzello di pennone, scendono nel bozzello di bompresso, attraversano le rastrelliere e finiscono a cavigliera sul cassero di prua.
Gl’imbrogli della vela di mezzana erano sei e fissati sulla ralinga di caduta, passano attraverso altrettanti bozzelli e finiscono a cavigliera.
Vengono ora descritte le boline.
Boline di trinchetto, passano attraverso un bozzello posto all’estremità dell’asta di fiocco, poi attraversano un altro bozzello sul bompresso, successivamente in un’ulteriore bozzello sito sulla gruetta per arrivare alla cavigliera di prua.
Boline di parrocchetto, passano attraverso un bozzello fissato sullo straglio di pappafico, successivamente in un altro bozzello stroppato su quello di bolina di trinchetto posto sull’asta di fiocco, poi attraverso la rastrelliera di bompresso oppure attraverso i bozzelli fissati sullo straglio di maestra per finire poi a cavigliera.
Boline di pappafico e di contropappafico di trinchetto, seguono gli stessi itinerari di quelle di parrocchetto.
Bolina di maestra, passa attraverso la pastecca (bozzello aperto) fissata al parapetto di prua e finisce in una galloccia di fronte all’albero di trinchetto.
Bolina di gabbia, passa in un bozzello sito sotto la coffa di trinchetto, poi in un’altro bozzello fissato sulla sartia a poppavia del trinchetto e finisce a galloccia sotto la sartia.
Da notare che queste boline vanno incrociate.
Bolina di contropappafico di maestra, passa attraverso un bozzello posto nella parte alta dello straglio di pappafico poi, parallelamente a questo, segue lo stesso itinerario di quelle precedenti.
Bolina di contromezzana, passa attraverso un bozzello sito sulla sartia di maestra a poppavia sotto il trilinaggio, poi in un bozzello fissato sull’impavesata per finire a galloccia.
Anche queste boline erano intrecciate.
Bolina di belvedere, attraversa il bozzello fissato sulla sartia di gabbia, passa attraverso la coffa, finisce in galloccia vicino alle boline di contromezzana.
Come le precedenti anche queste sono intrecciate.
Ritenute della boma, sono due paranchi che hanno dormiente su un bozzello fissato sul cassero, poi attraverso il bozzello di boma a due occhi e di nuovo a quello di ponte, ripassa a quello di boma e finisce a galloccia. Ostini, uno per lato, partono dal picco e finiscono a caviglia.

le vele addizionali

Quando il vento è debole per aumentare l’andatura della nave vengono aggiunte alle normali vele altre vele di caccia.
Queste vele sono divise in: scopamare, coltellacci e coltellaccini.
Gli scopamare, si distendono lateralmente al trinchetto ed alla maestra per mezzo dei pennoni di coltellaccio fissati sulle aste dei coltellacci e dei lancialovi infieriti sull’estremità inferiore degli stessi scopamare.
I coltellacci, si distendono lateralmente alle gabbie per mezzo dei pennoni di coltellaccio fissati sulle aste di coltellaccio superiori e sulle aste di coltellaccio inferiori.
I coltellaccini si distendono lateralmente ai velacci come i coltellacci.
LE VELE ADDIZIONALI (costruzione)
La costruzione delle vele addizionali segue passo passo la stessa delle vele normali compresa l’infieritura sui pennoni di coltellaccio.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE Anche le variazioni seguono le stesse delle vele normali.

le vele e loro infieritura

La vela è una superficie di tela disposta sul pennone in modo da ricevere la forza del vento atta a trasmettere l movimento di una nave.
Le vele, secondo la loro destinazione, hanno le seguenti forme: quadra, trapezio e triangolare.
Anche la loro infieritura varia a secondo dell’utilizzo e può essere a pennone, ad albero ed a cavo.
La vela è costituita da una serie di strisce verticali chiamate ferzi tenute tra loro con una doppia cucitura.
La distanza tra le due chiamata vivagno è di circa due o tre centimetri.
Lungo il perimetro della vela viene ricavato un’orlo chiamato vaina e per tutto il suo esterno viene cucito un cordone di canapa detto gratile.
Nei punti di maggior sollecitazione la vela viene rinforzata cucendo altre strisce in tela.
Questi aggiuntivi sono: batticoffa e terzaruoli.
I terzaruoli, presenti in uno o due per le vele basse e tre o quattro per le vele di gabbia, sono rinforzati orizzontalmente e presentano degli occhi dove sono cuciti i matafioni.
I matafioni sono delle cordicelle che pendono da una parte e dall’altra della vela e servono per mantenere piegate le vele sia in parte che interamente lungo il pennone.
LE VELE E L’INFIERITURA (costruzione)
Acquisire della stoffa molto fine tipo percalle o pelle d’uovo e metterla a bagno nel thè.
Riportare con il sistema che ormai conosciamo la pianta della vela su cartoncino rigido.
Posizionare il cartoncino sulla stoffa, fermarlo con degli spilli e ritagliare la stoffa intorno alla forma con un centimetro circa in più che servirà per l’orlo.
Cucire l’orlo con doppio risvolto utilizzando un filo dello stesso colore del refe.
Tracciare con una matita dalla punta morbida tipo 2B le linee verticali che simulano l’unione dei ferzi e quelle orizzontali che simulano le bende dei terzaruoli.
Ripassare con le cuciture le linee disegnate a matita.
Cucire tutt’intorno alla vela il gratile costituito da refe di misura variabile a seconda della scala:
scala 1:50 refe mm 1,3
scala 1:75 refe mm 1
scala 1:100 refe mm 0,75
Cucire con refe mm 0,25 i matafioni facendo un nodino in ingresso ed uno in uscita dalla vela.
Infierire la vela al pennone utilizzando refe da mm 0,5.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Anche se non sembra una vela presenta molti più dettagli di quelli descritti nella costruzione.
Il primo è quello relativo alle cuciture dei ferzi.
Infatti le cuciture verticali sono doppie ed a seconda della scala distano in maniera differente.
Tuttavia data l’esigua distanza (in rapporto ai nostri modelli) questo lavoro si può fare soltanto per modelli di grande scala (un millimetro di vivagno per una scala di 1:30!).
Si possono tracciare inoltre altre cuciture che simulano i rinforzi ed i batticoffa.
Lungo il gratile vanno poi cucite le bose utilizzando lo stesso refe del gratile.
Le bugne anzichè essere formate da un semplice occhiello ricavato dal gratile, possono essere costruite utilizzando un’anello di legno duro con gola attorno alla quale passerà il refe che costituisce il gratile.
Infine il colore più appropriato dovrebbe essere un grigiastro tendente all’avana (thè).
In questo caso utilizzare colori specifici per stoffe (sempre ad immersione e non i colori a pennello) che andranno poi sfumati con polveri da trucco femminile.

le manovre dormienti

Le manovre dormienti sono tutte quelle che hanno lo scopo di mantenere saldi alla nave tutti gli alberi salvaguardandoli dal movimento del natante in navigazione e dalla forza dei venti.
L’albero è assicurato contro queste risultanti per mezzo delle sartie, dai paterazzi e dagli stralli.
Le sartie sono quelle manovre laterali (una coppia per ogni tronco di albero) e prendono il nome degli alberi stessi: sartie di trinchetto, sartie di maestra e sartie di mezzana.
Queste sartie maggiori partono dalla coffa e finiscono sulle lande sorretti dai parasartie.
Nel piano superiore vi sono poi le sartie di parrocchetto, le sartie di gabbia e le sartie di mezzana.
Queste partono dalle crocette e finiscono sulle rigge delle coffe.
Infine le sartie degli alberi minori si dividono in sartiole di velaccino, sartiole di velaccio e sartiole di belvedere le quali partono dai rispettivi incappellaggi e finiscono sulle rigge delle crocette.
Per tendere più fortemente le sartie di trinchetto e di maestra si tendevano sotto la coffa dei cavi intrecciati tra loro.
Questa operazione veniva chiamata trilinaggio delle sartie.
I paterazzi hanno lo stesso compito e prendono lo stesso nome delle sartie ma partono dai rispettivi alberi e finiscono direttamente ai parasartie.
Gli stragli a differenza delle sartie lavorano in senso longitudinale e sono disposti verso prora.
Ogni troncone di albero ha uno straglio e prende lo stesso nome.
Si hanno quindi:
straglio di trinchetto, straglio di maestra, straglio di mezzana, straglio di parrocchetto, straglio di gabbia, straglio di contromezzana, straglietti di velaccino e controvelaccino, straglietti di velaccio e controvelaccio, straglietti di belvedere e controbelvedere.
Come le sarte gli stragli sono costituiti da cavi di canapa le cui dimensioni variano al variare del tronco di albero.
Anche il bompresso ha le sue manovre fisse che si chiamano briglie.
La briglia era formata da una coppia di bigotte fissate una sul bompresso e l’altra sul tagliamare tramite cavo.
Con il passare del tempo il numero delle briglie veniva aumentato.
Dalla metà del 1800 il bompresso veniva rinforzato oltre che con le briglie anche con i venti i quali non sono altro che briglie che finiscono sui fianchi dello scafo all’altezza delle gru di capone.
Tali venti come per i paterazzi sono moltiplicati quando sulla nave oltre al bompresso si hanno l’asta di fiocco e di controfiocco.
LE MANOVRE DORMIENTI (costruzione)
La costruzione delle manovre dormienti consiste nell’utilizzare refe, bigotte e bozzelli.
Non parleremo delle variazioni sulla costruzione poiché non c’è molto da cambiare.
Le uniche differenziazioni consistono nelle legature e nei nodi.
Il modellista può scegliere di usare nodi familiari oppure nodi realmente usati nella marineria.
Analizziamo secondo l’ordine del paragrafo della descrizione le varie manovre.
LE SARTIE
Le sartie vengono costruite doppie o semplici a seconda se il numero delle bigotte su parasartie è pari o dispari.
Nel caso di numero di bigotte pari, vengono utilizzate tutte sartie doppie incappellate sul colombiere (testa dell’albero) alternativamente a destra ed a sinistra.
Nel caso di numero di bigotte dispari, vengono utilizzate sartie doppie ed una sartia semplice.
La prima operazione da fare è quella di formare la gassa avente il diametro della stessa misura dell’albero e richiuderla con una legatura piana.
L’ideale sarebbe fasciare la gassa e parte della sartia.
Viene poi tagliata per una lunghezza tale da raggiungere il parasartie e legare la bigotta.
La legatura di questa viene fatta avvinghiando la sartia nella gola, operazione chiamata gassa di imbigottitura, perimetrale e serrare quest’ultima con tre legature piane.
Anche qui l’ideale sarebbe fasciare la parte della sartia fino all’ultima legatura.
Per ottenere la stessa distanza tra le bigotte di sartia utilizzeremo un filo metallico resistente (ad esempio acciaio armonico) piegato ad U che inseriremo tra ogni coppia di bigotte via via che vengono legate.
La sartia semplice prevede una gassa formata da due spezzoni di cavo che vanno uniti tramite legature piane uno opposto all’altro.
Per le fasciature e le legature di bigotta seguire le stesse istruzioni delle sartie doppie.
Le bigotte vengono arridate secondo una sequenza specifica.
Su di un capo del corridore viene effettuato un nodo chiamato piede di pollo il quale riterrà lo stesso corridore nel primo foro in alto a sinistra della bigotta di sartia.
Dopo aver effettuato tutti i passaggi attraverso i fori delle bigotte (sartia e landa) il corridore viene fissato tra le legature della bigotta di sartia.
Fatto questo passiamo ora alla messa in opera delle griselle.
Le griselle (gradini in corda) sono fissate orizzontalmente equidistanti tra loro sulle sartie formando una scala per agevolare la salita sulle coffe e crocette.
Dal momento che queste erano catramate come anche le sartie sarebbe idoneo utilizzare refe di colore nero.
La costruzione della grisella viene fatta annotando un capo con un semplice nodo (ridotto in scala così piccola è poco visibile ma se vogliamo pignoleggiare vi riporto a lato il particolare) e per ogni sartia un nodo parlato.
Le misure del refe da usare sono riportate sul disegno costruttivo.
I PATERAZZI
I paterazzi vengono lavorati allo stesso modo delle sartie poiché questi hanno la stessa funzione.
Variano invece i paterazzi dell’alberetto di parrocchetto di bompresso.
Per questi infatti si utilizzano bozzelli anziché bigotte i quali vengono stroppati e messi in tensione sullo straglio di parrocchetto.
GLI STRAGLI
La costruzione degli stragli prevede refe e bozzelli.
Analizziamo ora la costruzione di tutti quelli presenti sulla nave.
Lo straglio di maestra è generalmente per le navi più grandi composto da due unità.
Si costruisce prima la gassa formata da un rigonfiamento costituito da canapa intrecciata chiamato bottone in maniera che questo si blocchi sulla gassa stessa.
Tutta la legatura viene fasciata con refe da mm 0,25.
Successivamente sull’altro capo del cavo viene stroppata una bigotta od un bozzello a tre occhi alla stessa maniera delle bigotte di sartia.
Il paranco veniva completato con l’altra bigotta o bozzello posto al piede dell’albero di trinchetto (1500).
In tempi successivi il punto di fissaggio veniva spostato sul bracciolo di cappuccino e raramente al piede d’albero di bompresso.
La misura del refe da usare è quella riportata sul disegno costruttivo.
Lo straglio di trinchetto prevede la stessa lavorazione del precedente soltanto che veniva arridato sull’estremità dell’albero di bompresso nel 1500 mentre nel 1600 si spostava a circa metà dell’albero di bompresso.
Lo straglio di mezzana lavorato allo stesso modo degli altri era arridato in tre modi.
Uno consiste nell’arridare lo straglio al piede d’albero di maestra, l’altro risultava invece essere fissato nel cassero, l’ultimo invece in uso specialmente sulle navi inglesi tramite una redancia veniva fissato al piede d’albero maestro.
I nodi e le legature seguono le stesse indicazioni già viste in precedenza.
Spesso gli stragli maggiori, quando erano doppi, erano uniti da un piccolo cavo che noi costruiamo con refe da mm 0,25 a mo’ di triangoli.
I due stragli venivano mantenuti equidistanti da distanziatori in legno.
Tali pezzi li ricaviamo, per le scale 1:50 - 1:75, con listellini mm1x1 sagomati in testa con concavità per contenere il cavo di straglio.
Gli stragli maggiori inoltre prevedevano le ragne.
Queste avevano lo scopo di proteggere le vele contro lo sfregamento sugli stragli e sulle coffe.
La costruzione delle ragne viene così effettuata.
Costruire la molla ricavandola da un listello 2x3 oppure 2x5, praticare su questo cinque fori da mm 0,8 e tagliarlo dopo l’ultimo foro.
Arrotondare gli angoli e scanalare lo spessore, così facendo abbiamo creato una sorta di bozzello.
Praticare undici fori sulla coffa e tramite due bozzelli ad un occhio costruire la manovra della ragna.
Tutti gli altri stragli minori sono costruiti come i maggiori ma con sezioni dei cavi e le misure dei bozzelli, man mano che si sale, sempre più ridotte.
A differenza dei maggiori non sono mai doppi e non hanno ragne. Le briglie di bompresso seguono gli stessi sistemi di stroppatura e messa in opera delle manovre già viste.

i nodi

I nodi usati in marineria sono moltissimi, le caratteristiche principali che devono avere indistintamente dal più semplice al più complesso sono relative alla semplice esecuzione, non si devono allentare ne tantomeno sciogliersi da soli ma all’occorrenza si devono poter sciogliere con facilità anche in condizioni di corda bagnata.
I nodi complessi sono le risultanze di combinazioni di nodi semplici.
I NODI (costruzione)
In questa sede non esamineremo tutti i nodi esistenti in marineria ma soltanto i più significativi che comunque per molti modellisti sono ugualmente tanti e spesso non vengono neanche utilizzati.
Si spiegheranno qui di seguito i seguenti nodi:
gassa d’amante
gassa tripla
mezzo collo
nodo di ancora
nodo di galloccia
nodo di scotta
nodo margherita
nodo piano
nodo vaccaio
nodo savoia
nodo parlato
nodo del francescano
La gassa d’amante si usa per formare anelli all’estremità di una cima. E’ un nodo che si colloca tra i fondamentali, sicuro ma nello stesso tempo facile da sciogliere. Anche se può essere eseguita in diversi modi analizziamo il più diffuso.
Accavallare lo spezzone di cima corrente (estremità della cima) su quella dormiente formando un anello, far passare il corrente all’interno dell’anello, ripassare il corrente attorno il dormiente ma dalla parte posteriore per poi reinserirlo nel primo occhio formato. Per stringere tirare contemporaneamente dormiente e corrente.
La gassa tripla consente di avere tre anelli disposti in simmetria rispetto al centro del nodo. Viene spesso usato su piccole imbarcazioni a vela e consente l’incappellaggio (centro del nodo) con i tre anelli che si utilizzano per lo straglio e le due sartie.
Usando la parte centrale della cima formare tre anelli consecutivi ed accavallati un sull’altro, mantenendo in posizione l’anello centrale intersecare per metà gli esterni ed ancora per metà tra gli stessi, Tirare ora le due parti intersecate nelle direzioni opposte.
Il mezzo collo è un nodo che consente di assicurare l’estremità di un cavo ad un corpo esterno (ad esempio una bitta).
Cingere la bitta con la cima e formare un anello attorno ad essa accavallando il corrente sul dormiente, far passare il corrente all’interno dell’anello ma dalla parte posteriore, ripetere l’operazione una seconda volta e tirare.
Il nodo di ancora è quello usato per assicurare la cima alla cicala dell’ancora e viene così eseguito.
Far passare il corrente attraverso la cicala per due volte ed inserire quest’ultimo nei due anelli formatisi. All’uscita di questi riformare un’anello attorno al dormiente e riattraversarlo con lo stesso corrente dopodiché tirare.
Il nodo di galloccia, come dice il nome, serve ad assicurale la cima alla galloccia.
Avvolgere il corrente attorno alla base della galloccia, farlo passare diagonalmente su questa da una estremità all’altra e riportarla alla base, riportare al di sopra della galloccia sempre in diagonale ma dai punti opposti lasciando il corrente al di sotto e tirare.
Il nodo di scotta viene utilizzato per unire due cime tra loro anche di diametri diversi.
Formare con la prima cima un anello senza intersecare, far passare all’interno di esso e dal di sotto la seconda cima, circuire sempre con questa l’occhio della prima cima sempre dalla parte posteriore ed inserirla nell’anello formatisi. Tirare contemporaneamente le due cime.
Il nodo margherita viene usato per ridurre la lunghezza di una fune senza per questo doverla tagliare. Il nodo in questione si scioglie semplicemente non tenendolo in tensione.
Formare tre anelli in modo che si accavallino uno sull’altro tenendo conto che la dimensione dell’anello centrale corrisponde alla misura da accorciare. Estendere l’estremità dell’anello centrale all’interno degli esterni e tirare.
Il nodo piano, similmente al nodo di scotta, serve ad unire due cime però di diametri uguali.
Intersecare le due cime tra loro, ripiegare i rispettivi correnti nelle direzioni opposte facendoli reintersecare all’interno tra loro e tirare.
Il nodo vaccaio come il nodo piano è un’alternativa per unire due cime di ugual diametro ma, rispetto al primo è più sicuro e viene usato per cavi più grossi.
Formare un anello con la prima cima mantenendo il corrente nella parte posteriore. Fare la stessa cosa con la seconda cima intersecandola con la prima facendo uscire i correnti negli occhi opposti dei dormienti.
Il nodo Savoia (chiamato anche nodo ad otto) è un nodo di arresto sicuro e rapido da sciogliersi.
Formare un occhio senza intersecare la cima, ruotare questo di 180° ed inserire il corrente nell’occhio. Tirare.
Il nodo parlato è il nodo di avvolgimento più usato e nel nostro caso particolare serve a costruire le griselle (i gradini di corda delle sartie).
Circuire la sartia formando un anello dall’alto verso il basso, circuire di nuovo con il corrente uscente la sartia ma verso l’alto ed inserire questo nel nuovo occhio formato. Tirare.
Il nodo del francescano è un nodo di arresto nonché di appesantimento (per esempio per facilitare il lancio di una cima).
Formare un occhio senza intersecare ed avvolgere il corrente sull’estremità di questo per tre volte o più a seconda della massa che si vuole ottenere, infilare il corrente nell’occhio e, tenendo il gruppo di avvolgimenti, tirare.

le coffe e le teste di moro

La coffa, in tempi più antichi chiamata gabbia per la sua forma caratteristica, serviva da un punto di vista architettonico a legare le parti degli alberi mentre dal punto di vista operativo, come base di appoggio per le manovre e come piattaforma per il combattimento.
Questa era praticamente una cesta tonda con parapetto molto alto.
Con il passare del tempo questo veniva via via abbassato fino a scomparire (1700).
Nella stessa epoca si passò da una forma tonda ad una rettangolare con il lato rivolto a prua arrotondato.
La coffa era costruita sulla crocetta con due livelli di tavole incrociate tra loro.
Sul bordo, poi venivano poste delle tavole che prendevano il nome di garritta.
Sulla piattaforma assemblata venivano disposti a raggiera delle tavolette per evitare di scivolare chiamate tacchetti di gabbia.
Infine per le crocette, sui bordi laterali venivano applicate delle piattine in ferro forate per permettere il passaggio delle rigge.
Successivamente la parte posteriore della coffa veniva munita di battagliola, come dire di una ringhiera con armatura in ferro e ricopertura in rete.
La dimensione della coffa maestra (gran gabbia) corrispondeva:
larghezza, circa ½ della larghezza della nave
lunghezza, circa ¾ della larghezza della nave.
La testa di moro era costituita da due pezzi di legno duro vincolati da due fasce in ferro.
Lo scopo della testa di moro era quello di unire due tronchi di albero.
In antichità vi erano due tipi fondamentali di testa di moro: quella francese e quella inglese.
La francese aveva, sulla superficie rivolta verso l’alto una forma tonda mentre l’inglese era piatta.
Sulla superficie inferiore vi era praticato uno scasso non passante di forma quadra che si andava ad incastrare sulla testa dell’albero.
Nella parte opposta allo scasso vi era un foro passante per permettere il passaggio dell’albero sovrastante.
Sempre sulla superficie inferiore vi erano fissati sui lati i bozzelli per le manovre dei pennoni, mentre sulla parte tonda vi erano due canali con fori per il passaggio delle drizze dei pennoni.
LE COFFE E LE TESTE DI MORO (costruzione)
La coffa è uno di quegli elementi costruiti in una molteplice varietà di tipologie che ora andiamo ad esaminare.
Le più comuni commercializzate sono di tipo tondo, quindi coffe che vanno dal 1500 al 1700 circa.
Le più semplici tra queste sono quelle ricavate da un tondo per mezzo del tornio.
Conseguentemente sono più economiche ma anche meno reali.
Ci sono poi dei modelli in kit, sempre tra le coffe tonde, quelle di costruzione più veritiera composte dalla piattaforma, dai tacchetti di gabbia e dagli anelli che formano il parapetto.
Per le coffe acquistate l’unica lavorazione consiste nell’incollare i vari elementi e verniciarli in rosso oppure tingerli (in questo caso prima di assemblarli) di anilina e successivamente con vernice trasparente.
Le coffe che in genere vengono costruite dal modellista sono quelle del 1700 in poi.
Ricavare dal disegno costruttivo la pianta della coffa e riportarla su compensato di betulla di mm 1 - 1,5.
Se si possiede un pirografo tracciare i vari elementi di tavole che la compongono.
Disporre a raggera dei listellini (tacchetti) di mm 1x1 o meglio 1x2 tagliati a cuneo a filo del foro quadro centrale e del perimetro esterno.
Incollare un listellino piatto attorno alla coffa avente una larghezza pari alla somma degli spessori della piattaforma e dei tacchetti.
Praticare i fori per permettere il passaggio delle rigge.
Levigare accuratamente con carta abrasiva n°500 e verniciare con trasparente.
Incollare la coffa sulla crocetta relativa.
Anche le teste di moro sono commercializzate in molteplici misure sia francesi che inglesi e quindi evitano la costruzione.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Per avvicinarsi al realismo costruiamo le coffe nel modo che segue.
Ricavare dal disegno costruttivo la pianta della coffa e riportarla su compensato di betulla da mm 0,6-0,8.
Rivestire con listellini 0,5x3 oppure 0,5x4 la superficie superiore ed inferiore tenendo conto che le tavole sono incrociate.
Simulare le chiodature con la punta di un pirografo o con uno spillo infuocato.
E’ possibile eseguire questa lavorazione anche per coffe di tipo tondo commercializzate (quelle in kit) a patto che lo spessore della piattaforma sia ridotto.
Per quanto riguarda le teste di moro ci possiamo dilettare a costruirle come quelle reali.
Tagliare due listelli di dimensioni appropriate (riferimento disegno costruttivo) di cui uno va forato
dello stesso diametro dell’albero di gabbia o dell’alberetto,
mentre sull’altro verrà praticato uno scasso
di sezione quadra per innestarci il maschio della testa dell’albero.
Incollare i due pezzi, successivamente ritagliare delle striscioline di rame ed incollarle una per lato sulle superfici superiore ed inferiore.
Brunirle o verniciarle in nero opaco. Praticare poi i fori ed i rispettivi scassi utilizzando una fresa di piccole dimensioni per favorire il passaggio delle drizze.

le crocette

La crocetta è un elemento che permette, insieme alla testa di moro, il collegamento delle parti di un albero.
Tale crocetta è costituita da due traverse costiere poggiate su altrettante maschette incastrate con due o tre traverse poste a 90° rispetto a loro.
Le estremità di queste barre presentano dei fori con rinforzi in ferro nei quali passano le sartie.
LE CROCETTE (costruzione)
Le crocette vengono costruite intrecciando tramite incastri dei listelli di misura appropriata (vedi disegno costruttivo).
Ad ogni intersecazione corrisponde una coppia di scassi profondi il 50° della larghezza del listello.
Tali scassi vengono praticati segando le profondità con seghetti sottili dopodichè con una lametta si fa saltare il dente.
Le estremità delle barre traverse devono essere forate per far passare le rigge.
Costruire, per ogni crocetta, due maschette ricavandole da un profilato (per esempio cornici da parati) oppure ritagliandole da un grosso listello od ancora da una tavoletta.
Incollare le maschette sotto le barre costiere.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Con una lavorazione così semplice non ci sono variazioni a meno che, come nella realtà e se il modello è di grosse dimensioni, non vogliamo rinforzare con striscioline di metallo i fori per il passaggio delle rigge.
Disporre un listellino quadro chiamato guanciale con un angolo smussato sulle barre traverse in corrispondenza dell’albero che sostiene la crocetta.

i pennoni

I pennoni sono barre di legno disposte a proravia degli alberi aventi forma prismatica al centro e conica all’estremità.
Sui pennoni vengono infierite le vele quadre.
Anche i pennoni come gli alberi prendono il nome di pennone di trinchetto, pennone di maestra e pennone di mezzana per i maggiori.
Per quelli di gabbia invece abbiamo: pennone di parrocchetto, pennone di gabbia e pennone di contromezzana.
I pennoni minori infine sono: pennone di velaccino, pennone di velaccio e pennone di belvedere sormontati dai rispettivi pennone di controvelaccino, pennone di controvelaccio e pennone di controbelvedere.
I primi pennoni erano costruiti, fino al 1400, in due parti sovrapposti al centro e legati
con delle trinche di cavo.
Successivamente venivano sempre costruiti in più parti ma con incastri a palelle e quindi il risultato esteriore finale era quello di un’unica trave.
La parte centrale più grande del resto del pennone, era di forma ottagonale rivestito da lapazze per proteggerlo dallo sfregamento contro l’albero.
Ai lati del corpo si estendevano i bracci i quali sulle estremità erano delimitate delle cime lunghe circa 1/22 della lunghezza totale del pennone.
Tra la cima ed il braccio vi era il tacchetto che serviva, nel suo intorno, ad infierire la vela.
Più tardi venivano introdotti dei bastoni di prolunga chiamati coltellacci per cui le cime ed i pennoni a circa 2/3 della sua lunghezza venivano muniti di appositi rulli girevoli per facilitare lo scorrimento dei coltellacci stessi.
Questi bastoni servivano per montare delle vele supplementari laterali chiamate scopamare quelle basse e bonette quelle superiori.
Al di sotto dei pennoni venivano montati i marciapiedi.
Questi non erano altro che cavi di canapa fissati da un’estremità al centro del pennone sorretti da reggitoi.
I marciapiedi servono come base di appoggio per i marinai addetti alle manovre delle vele.
I pennoni che portavano vele latine venivano chiamati antenne e prendevano il nome degli alberi su cui venivano applicate.
Infine fanno parte dei pennoni le bome ed i picchi.
La boma è una sorta di pennone che presenta su una estremità una gola per consentire il suo orientamento.
Questa fuoriesce a poppa e serve per stendere il lato inferiore della vela aurica.
Il picco è simile al boma ma con dimensioni più contenute e viene appunto chiamato mezzo pennone.
Questo serve per supportare il lato superiore della vela aurica.
I PENNONI (costruzione)
Come per gli alberi, il modo più semplice per costruire un pennone consiste nel ricavarlo da un tondino.
Seguire quindi tutte le fasi già descritte per gli alberi tenendo conto che la differenza risiede nel fatto che il pennone è simmetrico rispetto al suo centro fatta eccezione per il boma ed il picco.
Anche qui per le misure attenersi al disegno costruttivo.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Anche se il vostro disegno costruttivo non lo riporta, dobbiamo tenere conto che fino al 1400 i pennoni erano costituiti, quando erano di grandi dimensioni, da due pezzi legati tra loro.
Per questo tipo di pennone lavorare come descritto qui di seguito.
tornire nei modi già esaminati due pezzi di pennoni della lunghezza di 7/10 - 8/10 della lunghezza totale del pennone completo;
incollare le due parti con lo scarto di 3/10 - 2/10 ed a colla essiccata verniciare con trasparente diluito.
avvolgere le trinche con le stesse procedure viste per gli alberi.
Il lavoro che viene eseguito per questo pennone viene esteso anche per le antenne.
La variazione seguente è relativa alla costruzione di un pennone con il corpo.
Per fare questo occorre partire da un listello di sezione quadra poiché il corpo è di forma ottagonale.
Quindi dopo aver tagliato il listello nella lunghezza necessaria smussare gli angoli dei bracci ed arrotondarli.
Sfaccettare poi gli angoli del corpo, ancora quadrato, in modo da formare l’ottagono.
Rifinire il tutto con carta abrasiva e verniciare con il trasparente.
Un’ulteriore aggiunta di dettaglio consiste nel ricoprire il corpo con le lapazze e, come si fa per gli alberi, cingere i bracci con anelli metallici ricavati da striscioline di rame che poi andrà brunito o verniciato di nero opaco.
Le cime dei pennoni sono ricavate da filo di ottone di diametro variabile a seconda della scala del modello:
scala 1/50 diametro mm 1
scala 1/75 diametro mm 0,75
scala 1/100 diametro mm 0,5
Per costruire le cime del 1500 seguire le indicazioni sottostanti:
attorcigliare il filo di ottone attorno al coltellaccio e, chiuso l’anello, troncare il capo;
ripiegare l’occhiello a 90° ed inserire l’estremità opposta al centro del braccio del pennone fissandolo con una punta di colla.
Le cime del 1600 invece seguono le indicazioni generali di quelle precedenti ma:
costruito l’occhiello, non troncare l’estremità ma portarla parallela all’altra;
creare due scanalature parallele al piano sulla varea, inserirci i fili di ottone, incollare e legare;brunire le cime, dipingere in rosso le varee delle navi da guerra, dipingere in bianco le varee delle navi mercantili.

gli alberi

L’alberatura con le sue vele è il sistema propulsivo di una nave antica.
Questa sfrutta la forza del vento che si presenta sulla superficie velica.
Gli alberi sono dei cilindri in legno collocati sull’asse di simmetria della nave in maniera più o meno verticale.
Essi hanno il compito di sopportare i pennoni con le vele.
Esaminando ora l’alberatura di una nave antica troviamo:
- Albero di bompresso, corrispondente a quello situato a prua obliquamente rispetto alla linea di galleggiamento di circa 36°.
- Albero di trinchetto, situato a prua immediatamente dietro il bompresso.
- Albero di maestra, il più grande e leggermente arretrato rispetto il centro della nave.
- Albero di mezzana, il più piccolo che è situato a poppa.
- Le navi del XV - XVI secolo avevano un quarto albero verticale a poppa chiamato palo.
Gli alberi, a parte per le piccole imbarcazioni, erano costruiti in più pezzi che prendevano il nome a seconda della loro destinazione.
Troviamo quindi le seguenti parti.
Albero di bompresso fino al 1650: albero di bompresso, alberetto di parrocchetto di bompresso, freccia (asta portabandiera).
Albero di bompresso fino al 1750: albero di bompresso, alberetto di parrocchetto di bompresso, alberetto di pappafico, freccia.
Albero di bompresso dopo il 1750 circa: bompresso, asta di fiocco (sovrapposta al bompresso), asta di controfiocco (sovrapposta all’asta di fiocco), asta di bandiera del bompresso.
Albero di trinchetto: albero maggiore di trinchetto, albero di parrocchetto, velaccino. Il velaccino é composto dall’alberetto di velaccino e dal controvelaccino.
Albero di maestra: albero maggiore di maestra, albero di gabbia maestra, alberetto di gran velaccio. Il gran velaccio è composto dall’alberetto di gran velaccio e dal controvelaccio.
Albero di mezzana: albero maggiore di mezzana, albero di contromezzana, alberetto di belvedere. L’alberetto di belvedere è composto da se stesso e dal controbelvedere.
Gli alberi maggiori, date le loro dimensioni, erano costituiti da più pezzi incastrati e legati tra loro con una serie di cinque giri di cavo chiamati trinche e, dopo il 1700 le trinche erano costruite anche con cerchi in ferro.
Lo spazio che intercorreva tra l’una e l’altra era di circa un metro.
Nei vascelli gli alberi maggiori erano rinforzati con elementi laterali detti lapazze serrate con le trinche.
Infine c’è da ricordare che le galee e gli sciabecchi montavano degli alberi particolari detti a calcese.
Questi alberi erano corti e tozzi con l’estremità a forma quadra munita di pulegge per il passaggio delle drizze.
Ogni albero maggiore era fissato allo scafo mediante le scasse d’albero, fissate a loro volta sulla chiglia e le mastre d’albero o piedi d’albero posti su ogni ponte in corrispondenza del passaggio dell’albero stesso.
GLI ALBERI (costruzione)
La maniera più semplice per costruire un albero consiste nel ricavarlo da un tondino.
Il diametro ed il tipo di legno da usare sono da identificarsi sul disegno costruttivo.
Se vogliamo l’albero di colore scuro scegliamo il legno di noce, se lo vogliamo chiaro e ben lavorabile preferiamo il tiglio, infine se esigiamo robustezza utilizziamo il legno di ramino.
La forma di un albero è quella di un tronco di cono e quindi presenta un diametro alla base maggiore del diametro dell’estremità opposta.
Per fare questo, anche se non si dispone di un tornio, è sufficiente tagliare un pezzo di tondino di lunghezza pari alla somma del pezzo che verrà serrato nel mandrino di un trapano opportunamente fissato al banco, e la lunghezza dell’albero da costruire.
Anche gli attrezzi non sono critici poiché è sufficiente della carta vetrata che verrà avvolta al tondino mentre gira.
Le grane da usare vanno a scalare dalla n°3 per lo sgrosso alla n°00 per la finitura.
Un’ulteriore passata di carta abrasiva n°500 favorisce il risultato finale.
Ripassare tutte le superfici con vernice trasparente molto diluita ed una volta essiccata montare le trinche.
La spaziatura di queste varia con la scala del modello, si avranno quindi le seguenti dimensioni:
- Per scala 1:50, distanza mm 20 e refe da mm 1,3 - 1,5.
- Per scala 1:75, distanza mm 13 e refe mm 1 - 1,3.
- Per scala 1:100, distanza mm 10 e refe mm 0,75 - 1.
La tipicità della legatura consiste nell’eseguire il nodo interno alle spire del cavo, quindi invisibile.
Per fare questo procedere nel modo seguente:
1. formare un cappio e disporlo in senso longitudinale rispetto l’albero;
2. avvolgere su questo le cinque spire di cavo e tagliare lasciando qualche centimetro in più (5 - 6);
3. inserire il corrente dell’ultima spira nel cappio e tirare mantenendo fermo il dormiente;
4. tirando far corrispondere il nodo al centro delle spire;
5. rifilare con un taglierino l’eccedenza delle cime a filo delle spire ed incollare il tutto con della colla vinilica diluita.
Ripetere questa operazione per quante trinche si devono costruire facendo in modo che tutti i nodi siano rivolti verso poppa.
La costruzione del piede d’albero consiste nel costruire un anello in legno avente il foro centrale dello stesso diametro dell’albero ed il diametro esterno circa una volta e mezza il precedente.
L’angolo esterno sarà smussato verso il basso.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Le variazioni eseguibili sugli alberi sono tutte di natura accessoristica.
Come si è detto le grandi navi montavano dei rinforzi laterali (lapazze) che riportiamo sul modello nella seguente maniera.
1. Tagliare due listelli di larghezza pari a circa metà del diametro dell’albero di spessore di 1 - 2 millimetri lunghi circa 1/3 della lunghezza dell’albero.
2. Sagomare, creando una concavità longitudinale, in modo da adattare il listello alla rotondità dell’albero e smussare gli spigoli esterni con carta abrasiva n°300.
3. Incollarli sull’albero subito sotto ed adiacenti alle maschette (mensole che sorreggono la crocetta).
4. Verniciare il tutto con vernice trasparente diluita ed applicare le trinche.
Un’ulteriore variazione consiste nell’ottimizzare il lavoro delle lapazze.
1. Terminata la tornitura dell’albero, montare le trinche costituite da anelli metallici formate con delle piattine in rame dello spessore di 2 decimi.
2. Per ogni lato dell’albero montare le tre lapazze (escluso il lato verso poppa) le quali sono scanalate in corrispondenza degli anelli.
3. Carteggiare per smussare gli angoli esterni e verniciare.
4. Infine montare le trinche in canapa alternate con quelle in metallo precedentemente montate e brunite.
Gli alberi a calcese invece vanno completati con la particolare testa di forma quadrangolare che, nella maniera più semplice, può essere ricavata da un grosso listello quadrato e sagomato opportunamente seguendo il disegno costruttivo.
Per un lavoro migliore, invece, sarebbe meglio ricavare l’albero non da un tondino ma da un listello quadro.
In questo caso la lavorazione parte dal calcese sagomandolo e forandolo nelle giuste dimensioni.
Al di sotto di questo proseguire la lavorazione togliendo prima gli spigoli, anche con una raspetta, e poi tondeggiare e carteggiare come già descritto.
Per il piede d’albero invece dobbiamo aggiungere un dettaglio in più.
E’ vero che l’elemento di cui parliamo era costituito da un’anello ma è pur vero che l’albero era inzeppato per meglio incastrarlo a questo.
Allo scopo venivano utilizzati dei cunei che s’infilavano a forza tra l’albero e l’anello. Quindi per la costruzione possiamo simulare questo incollando dei piccoli listelli intorno all’albero adiacenti al collare in legno già costruito.

le bigotte ed i bozzelli

La bigotta può essere ad occhi od a canali più comunemente conosciuta come bigotta a cuore.
La bigotta ad occhi è una specie di bozzello senza puleggia di forma rotonda avente tre fori passanti ed una scanalatura sulla circonferenza.
Queste venivano costruite in legno duro e servivano ad assicurare le manovre dormienti quali: le sartie ed i paterazzi.
La bigotta a canale invece ha un solo grande occhio con tre canali nel suo interno appunto per permettere il passaggio del corridore.
Queste venivano usate soltanto per gli stragli e per le briglie di bompresso.
Il bozzello è una carrucola con una o più pulegge usata per facilitare lo scorrimento di una fune, per cambiarne la direzione ed infine per moltiplicare la forza esercitata.
Il bozzello ha la puleggia in metallo (ghisa) e la cassa in legno adatta per resistere agli urti.
Il gioco tra le facce laterali interne chiamate maschette della cassa e della puleggia non deve essere superiore ad 1/3 del diametro della fune per evitare che questo possa ingaggiarsi nell’interstizio.
Oltre a bozzelli sopracitati vi erano anche bozzelli a violino e le pastecche.
Queste venivano fissate al parapetto di prua od al piede d’albero ed il cavo della bolina poteva essere tolto facilmente quando vi era necessità.
Un altro bozzello particolare era quello di drizza latina montato sulle galee e sugli sciabecchi.
Questo era formato da una cassa quadra e portava sei od otto pulegge.
Infine vi era la rastrelliera di bompresso che aveva lo scopo di guidare le diverse manovre delle vele di bompresso.
LA BIGOTTA ED IL BOZZELLO (costruzione)
Sia la bigotta che il bozzello, per ragioni di quantità occorrenti al modello che di costo, non è conveniente auto costruirli.
Se qualcuno lo desiderasse, operare nel seguente modo.
Per le bigotte è d’obbligo un tornio oppure un trapano.
Sul mandrino di uno di questi attrezzi serreremo un tondino di diametro uguale a quello richiesto per la dimensione della bigotta.
Se utilizziamo il trapano, il tondino dovrà essere molto corto per non favorire la flessione di questo durante la lavorazione.
Il legno da usare dovrà essere duro e compatto, è consigliabile quindi il bosso od il ramino.
Con l’ausilio di uno scalpello o di una sgorbia incidere mentre gira e, sempre mentre gira ripassare il tondino con carta abrasiva n°800 creando la gola e la forma lenticolare tipica della bigotta.
Fatto questo tagliare il pezzo con un seghettino dalla lama molto fine, sistemare la bigotta in posizione orizzontale e praticare i tre fori corrispondenti ai vertici di un triangolo equilatero.
Per lavorare di serie ed in modo migliore sarebbe bene costruire una dima nella quale prenderà posto la bigotta per essere forata.
Questa dima sarà composta da una base sulla quale verrà incollato uno spessore con un foro pari a quello della bigotta.
Si praticheranno poi due fori di diametro di mm 5 nei quali verranno incollate delle spine che fuoriusciranno di mm 8.
Si costruirà poi in lamierino metallico una dima di foratura la quale s’incastrerà nelle spine solidali alla base.
I tre fori della dima coincideranno con i punti da forare sulla bigotta.
Il bozzello invece viene ricavato incollando tre listelli, quello centrale più stretto, tra loro formando una striscia che vista in sezione sarà una sorta di doppia T.
Naturalmente le dimensioni dei listelli saranno relative alle dimensioni dei bozzelli da costruire.
Tagliare questa striscia in tanti pezzetti della lunghezza voluta (quella del bozzello) e sulle superfici dei listelli più grandi, formare con una limetta tonda un canaletto.
Arrotondare poi gli angoli, praticare un foro ad 1/3 della sua lunghezza sul listello più piccolo, corrispondente alla perpendicolare dei canali fatti con la lima.
Altro tipo di costruzione, migliore della precedente, consiste (se si ha a disposizione una fresa) nel modellare il bozzello da un unico listello.
In questo caso occorre ricavare, utilizzando una fresa a stella, un canale longitudinale per ogni lato.
Per il resto come foratura e finitura procedere come sopra.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Non ci sono particolari variazioni da poter effettuare a meno che non si tratti di bozzelli di grandi dimensioni.
In questo caso anziché forarlo per permettere il passaggio della fune, si potrà montare una vera e propria puleggia.
Quindi al posto del foro si dovrà avere un’asola di dimensioni tali da ricevere la puleggia e la fune che scorrerà nella sua gola.
Detta puleggia sarà vincolata con un chiodino passante la cui testa corrisponderà alla battuta del perno e la parte eccedente andrà tagliata.
Naturalmente per non spaccare il legno sarà opportuno forare il pezzo con una punta da trapano avente un diametro di un decimo inferiore di quello del chiodino usato.

le lande

La landa è una staffa metallica, saldamente fissata allo scafo, su cui si tendono le manovre dormienti mediante tendicavi.
Questa era costituita da catene di due anelli di grosse dimensioni realizzati con tondini di ferro.
Il primo anello veniva inserito nello stroppo di bigotta, mentre l’estremità dell’altro veniva lavorata a forma di anello per permettere l’inserimento del bullone di fissaggio.
Sopra l’anello veniva poggiato un piano in ferro con due fori, staffa.
Le lande erano fissate allo scafo in corrispondenza della terza incinta.
Le lande delle sartie dell’albero di mezzana non erano munite di staffa.
LE LANDE (costruzione)
Anche le lande vengono acquistate dai signori modellisti ma, poiché hanno un certo costo, molti se le costruiscono.
La maniera più semplice, anche se meno realistica, consiste nell’avvolgere del filo di rame attorno alla bigotta per formare lo stroppo ma, anziché formare l’anello sotto la bigotta, viene prolungato ed appaiato.
A questo punto i due fili vengono saldati a stagno (brasati) dopodiché forati all’altezza di quella che dovrebbe essere la staffa.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Se invece si vuole costruirle come veramente erano bisogna procedere nel seguente modo.
La lavorazione viene effettuata in tre fasi:
1. la costruzione dello stroppo.
2. la costruzione degli anelli.
3. la costruzione della staffa.
Per quanto sopra acquisire un saldatore, dello stagno animato (per evitare la pasta salda) acquistabile presso i negozi di elettronica, del filo di rame o di ottone di mm 0,5 oppure 0,75 a seconda della scala del modello.
Per iniziare le operazioni è necessario preparare delle dime in modo da facilitare le costruzioni dello stroppo e degli anelli.
Per lo stroppo fissare su una base di legno duro un tondino di legno di diametro uguale a quello della gola della bigotta e sotto di esso, sulla sua perpendicolare, un tondino di acciaio dal diametro di mm 1 oppure 1,5.
Sagomare il filo di rame attorno a questi tondi, avvicinare con una pinza a becchi il filo al di sotto della bigotta, fare lo stesso sotto il tondino di acciaio, saldare la giuntura.
Per l’anello della catena operare alla stessa maniera di cui sopra avvolgendo il filo di rame attorno ad un tondino di diametro adatto.
Inserire il primo anello nello stroppo ed il secondo anello nel primo.
Saldare i punti d’incontro.
La staffa infine viene ricavata da una piattina di rame sagomata e forata nei punti che andranno poi inchiodati con chiodini aventi la testa più piccola possibile.

finitura del modello

Prima di passare alla realizzazione delle manovre si procede alla finitura di tutte le parti in legno.
Questa viene fatta prima per non sporcare il refe che verrà usato.
Lo scopo è quello di proteggere e colorare, dove sono richieste, le parti del modello.
FINITURA DEL MODELLO (costruzione)
Carteggiare con carta abrasiva n°800 e 1000 tutte le superfici in legno da trattare con vernici in modo da togliere il più possibile la peluria del legno e di renderlo più levigato.
Le navi mercantili e comunque non da guerra, non erano colorate ad eccezione della polena.
Per questi modelli è sufficiente stendere con pennelli dalle setole molto fini lunghe e morbide una mano di vernice trasparente opaca od al massimo satinata molto diluita.
L’opera viva invece, corrispondente alla parte immersa dello scafo, deve essere dipinta di un colore bianco sporco.
Il risultato di questo colore era dato dalla lavorazione di calafatura (impermeabilizzazione) ed era distribuita dalla linea di galleggiamento alla chiglia.
Per eseguire correttamente questa operazione occorre utilizzare uno scaletto che permette di mantenere in livello il modello rispetto al piano di lavoro.
Costruire un supporto che possa mantenere una matita all’altezza richiesta cioè quella della linea di galleggiamento.
Tracciare le linee sullo scafo, tenendolo fermo, con la matita facendo scorrere sul piano il supporto su cui è fissata.
Mascherare la delimitazione tra opera viva (parte immersa) ed opera morta (parte emersa) con nastro adesivo da carrozziere o da lucido (ghost) in vendita presso le cartolerie che trattano prodotti per disegni tecnici.
Dipingere l’opera viva senza pretendere di coprire subito con la prima mano ma con fasi successive attendendo la completa essiccazione tra una mano e l’altra.
Per lo sporco è sufficiente quello che si otterrà maneggiando il modello fino al suo completamento.
Le navi da guerra invece oltre al colore della calafatura erano più variopinte.
Esternamente avevano bande colorate in corrispondenza dei casseri di colore blu (generalmente per i francesi e gli inglesi) o verdi (generalmente per le brandeburghesi e le olandesi), i ponti erano delimitati da fasce ocra e nere, le decorazioni in oro o nei colori tipici dei soggetti che rappresentavano.
Per l’interno invece veniva utilizzato molto il rosso Pozzuoli che aveva lo scopo (psicologico) di mascherare il sangue perso in combattimento.
A questo scopo erano dipinti gli affusti dei cannoni, l’impavesate, le pazienze, i pagliolati, le gallocce ecc.
E’ consigliabile utilizzare colori a tempera od acrilici.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Non ci sono particolari variazioni a meno che non si vogliano, anche se non sarebbe corretto, utilizzare le vernici.
Per ovviare a questo ricorriamo all’uso di legname di essenze diverse.
Troviamo quindi listelli con colori artificiali (colorati chimicamente) che sono di colore nero, blu, verde che hanno la proprietà di mantenere il colore anche se tagliati o carteggiati.
Poi abbiamo i colori naturali:
· giallo, legno di bosso
· rosso, legno di paduca
· bianco tendente al giallo, legno di tiglio
· bianco, legno di acero
· rosso ocra, legno di mogano
· marrone chiaro, noce tanganica
· marrone scuro, noce nazionale
· rosa marrone, legno di faggio marroni venati, douglas, quercia, olivo.

i parasartie

Il parasartie, in antichità parasaschie corrisponde a quel pancone orizzontale posto fuoribordo a destra ed a sinistra della nave sopra i quali, per mezzo delle lande, sono fissate le sartie degli alberi ed i paterazzi minori.
PARASARTIE (costruzione)
La costruzione del parasartie è spesso limitata al taglio di un pezzo di compensato o tavoletta con tacche o fori relative al passaggio delle lande.
Per la realizzazione di questi pezzi operare con il sistema della carta copiativa.
Dopo aver tagliato e forato il compensato, occorre colorarlo con aniline o rolla per dargli la parvenza di legno nobile (in alcuni casi erano di colore nero quindi dipingere in nero opaco).
Solitamente i parasartie erano sorretti ed irrobustiti con delle mensole che verranno realizzate e posizionate e, dopo aver verificato l’esatta collocazione, incollare.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
La prima, la più semplice e la più intuitiva variazione consiste nel realizzare i parasartie con una tavolette di legno
pregiato dello spessore previsto anziché di compensato.
Naturalmente le mensoline saranno costruite con lo stesso materiale.
Un’ulteriore finitura consiste, una volta inchiodate le lande al loro posto, di incollare un listellino dello stesso spessore del parasartie sul lato che supporta le lande.
Ancora possiamo costruire i parasartie come descritto qui di seguito.
Innanzitutto realizzare il pezzo su compensato di betulla di mm 1 - 1,5, e tingerlo con anilina o rolla e rivestire tutte e due le superfici come abbiamo fatto per i ponti.
Fare in modo che la larghezza del parasartie corrisponda alla somma di tre o quattro listelli affiancati.
Anche qui dopo aver fissato le lande, incollare i tre listellini dello spessore del parasartie lungo i rispettivi lati escluso quello fissato allo scafo.
Infine per ottenere il massimo, incollare tra loro tre o quattro listelli (quante sono le tavole che lo compongono) dello spessore richiesto, praticare gli scassi per le lande, e rifinire con il solito listellino largo quanto lo spessore del parasartie.
Teniamo sempre conto che in termini di robustezza lo è di più un parasartie costruito con sandwich di compensato anziché di legno massello.

le scialuppe

La scialuppa è la barca maggiore a vela ed a remi imbarcata a bordo delle navi per eventuali servizi di salvataggio e di esplorazione.
Da non confondersi come generalmente succede con il canotto il quale corrisponde all’imbarcazione minore a bordo delle navi che serve esclusivamente per il salvataggio.
Ci sono inoltre le cosiddette barcacce che vengono utilizzate per la posa delle ancore.
LE SCIALUPPE (costruzione)
La maggior parte, anche se a torto, dei modellisti non si costruiscono le scialuppe.
Infatti spesso si fa uso di modelli prestampati in plastica od in legno plastico ed ultimamente addirittura in metallo!
Esiste anche qualcosa un pochino meglio e cioè imbarcazioni ricavate da legno pieno tramite fresatura.
Le lavorazioni variano a seconda dei modelli acquistati:
- legno plastico, per la scialuppa costruita in questa maniera bisogna realizzare il pagliolo sul fondo disponendo dei listellini di mm 1x1 in senso orizzontale poggiando poi su questi altri listellini dello stesso tipo nel senso opposto. Si passa poi alla costruzione delle panche le quali vengono ricavate da un pezzo di compensato di betulla avente spessore di mm 1 per poi essere tinteggiate con anilina o rolla. Successivamente le panche vengono incollate sullo scafo il quale andrà dipinto secondo i dettami del disegno costruttivo.
- plastica, le scialuppe di questo tipo sono tutte costruite, in alcuni casi in due pezzi, quindi occorre soltanto incollare le esigue parti e verniciare secondo schema.
- legno fresato, i kit dei modelli in legno fresato sono composti dal guscio dello scafo avente una scanalatura nella quale va inserita la chiglia ed una battuta per poggiare le panche. La prima operazione da fare è quella di ritagliare i pezzi e rifinirli con carta abrasiva. Costruire il pagliolo come descritto nei modelli in legno plastico, incollare nelle rispettive sedi le panche, la chiglia e l’eventuale timone. Colorare il tutto come richiesto ricordando di dipingere l’interno prima di incollare le panche.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
A differenza di altri particolari, le scialuppe possono avere molteplici variazioni che vanno dalla semplice ricopertura del modello stampato alla costruzione con ordinate e fasciame.
La modifica più semplice consiste nel ricoprire la parete esterna dello scafo con listellini di spessore molto fino e stretto (tipo mm 0,5 x 3 o addirittura 2 se li trovate), allo stesso modo usato nel rivestimento (secondo fasciame) dello scafo della nave.
Poi si passa alla costruzione delle panche che al posto del compensato saranno costruite con listelli di dimensioni appropriate accostandoli l’uno all’altro dove è necessario (prua e poppa).
Un modello di scialuppa più bello e allo stesso tempo più impegnativo per la realizzazione è quello costruito ad ordinate e fasciame.
In tal senso alcune ditte, nei loro disegni già contemplano questo sistema.
In questi casi solitamente l’ordinata coincide con la panca in modo che, essendo la prima fuori scala, viene mascherata.
La costruzione dello scafo ad unico fasciame e non doppio come la nave, ha lo stesso procedimento descritto nel paragrafo “il fasciame”.
Si può tuttavia migliorare ulteriormente il modello integrando particolari come mensoline di supporto delle panche, scalmi e remi.
Si può altresì equipaggiare la scialuppa con ancora a grappino, mezzi marinai, botti (ovali) ed in alcuni casi anche con alberi ed attrezzatura velica od infine argani per la posa delle ancore.
Alcune lance possono essere armate con albero e vela latina quindi, all’interno del nostro modellino, possiamo adagiare l’albero smontato dalla sua scassa, il pennone con la vela infierita, e le rispettive cime per le manovre.
Le imbarcazioni posa ancore, hanno un’attrezzatura particolare per effettuare questo tipo d’intervento.
Infatti sono provviste di due fori sul fondo dello scafo comunicanti con i relativi tubi che sono ovviamente più alti della linea di galleggiamento (rispolverare il principio dei vasi comunicanti), un argano posto al centro per issare l’ancora ed una grossa puleggia con appositi braccioli per tenere seco l’ancora fuoribordo.
Per costruire questo possiamo dividere il lavoro in tre fasi:
1. forare il fondo dello scafo ed inserirci i due tubetti da filo esterno verso l’interno (per dimensioni di barca medie massimo mm 3 esterno) che abbiamo precedentemente tagliato e rifinito;
2. costruire od adottare un argano orizzontale commerciale secondo la larghezza dell’imbarcazione, preparare i supporti ed incollare il tutto;
3. costruire la grossa puleggia, i braccioli di poppavia per il supporto della stessa, ed incollare le parti.

le botti ed i secchi

La botte è un recipiente in legno avente forma bombata e costituita da un’insieme di doghe trattenute in forma da cerchi di metallo.
Nel caso di botti imbarcate su scialuppe e canotti di salvataggio la loro forma è ovalizzata e permette loro quindi una migliore collocazione, non hanno bisogno quindi del supporto chiamato sedile.
Il secchio o più propriamente secchia, era un recipiente, generalmente in legno, avente forma di tronco di cono a fondo convesso, con manico curvo a semicerchio di metallo o di cordino.
Venivano usati per attingere acqua e per contenere i tizzoni ardenti che servivano per accendere le micce dei cannoni.
In quest’ultimo caso però mantenevano la stessa forma ma la base era quella di diametro più largo e si chiamavano baie.
BOTTI E SECCHI (costruzione)
I contenitori usati nell’epoca dei velieri per conservare acqua, cibo ecc. erano le botti.
Queste erano usate anche per contenere polveri da sparo e, le più piccole, venivano poste vicino ogni cannone o comunque arma da fuoco.
Anche qui la costruzione quasi sempre non viene effettuata dal momento che vengono vendute in molte dimensioni e tipi e per giunta hanno anche un prezzo accessibile.
La lavorazione supplementare che si deve fare è quella di dipingere, color ferro brunito o nero opaco, i cerchi che servivano a tenere unite le doghe.
Per i secchi seguire quanto esposto sopra per le botti aggiungendo il manico che sarà realizzato con refe.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Per aumentare l’effetto realistico di questo componente bisognerebbe tracciare delle linee che simulano le varie doghe e le parti che compongono il coperchio ed il fondo.
Per i secchi seguire le stesse indicazioni.
Per fare questo l’ideale sarebbe usare un pirografo con un’ansa avente punta a cono.
Il pirografo è un semplice attrezzo, più o meno sofisticato nella sua costruzione, il quale dando energia, solitamente la 220 volts di rete, scalda una resistenza che a sua volta trasmette il calore alla punta (ansa).
In pratica questo attrezzo è molto simile ad un comune saldatore.
E’ possibile infine sostituire l’ansa con altre di varie forme in modo da poter coprire tutte le esigenze.
Si può anche costruire una botte con il coperchio aperto mostrando il suo carico.
Fare questo significa scavare per qualche millimetro il coperchio della botte, ricoprirlo di stucco a legno e punzecchiare con un chiodino.
A stucco essiccato dipingere secondo i gusti ed il carico che si vuole riprodurre.
Nel caso volessimo simulare liquidi si riempie la parte scavata con colla bicomponente o resina.
Ricostruire con compensato di betulla da mm 0,6 un dischetto avente il diametro del coperchi e rifinire alla stessa maniera usata per la realizzazione dei ponti.
Posizionarlo infine nei pressi della botte. Utilizzare gli stessi accorgimenti anche per i secchi (ad esempio colorare lo stucco lavorato di grigio con puntini rossi che simula la brace e posizionarli a fianco dei cannoni).

i fanali

Apparecchio che serve ad illuminare od a segnalare con la sua luce la presenza o la posizione della nave.
Il fanale non era altro che una grande lanterna molto decorata provvista di vetri per proteggere la fiammella dalle condizioni atmosferiche esterne.
Sulle navi mercantili vi era un solo fanale posto al centro del coronamento, sui vascelli e sulle galee invece vi erano montati tre fanali uno dei quali, il centrale, era spesso più grande.
Vi era anche il fanale di coffa posto appunto sulla coffa maestra ed indicava che quella nave apparteneva all’ammiraglio.
I FANALI (costruzione)
I fanali, tipicamente, difficilmente vengono autocostruiti dai modellisti.
Tuttavia in caso di navi maggiorate cioè in scale poco ridotte quindi modelli più grandi, si può incappare ad un’inconveniente:
i fanalini commercializzati sono troppo piccoli.
A questo punto allora bisogna, per forza di cose, costruirli.
Come fare?
Ricavare dal disegno, nella scala di costruzione necessaria, la pianta superiore ed inferiore del fanale.
Riportare con il solito sistema su tavoletta di bosso o di cirmolo e traforarle.
Modellare secondo quanto richiesto dalla forma.
Eseguire lo stesso sistema per i supportini laterali, cioè per quelle parti che separano il piatto inferiore dal cappello superiore.
Incollare tra loro le parti e chiudere gli spazi con della celluloide (vetrini) trasparente o colorata se si vuole rappresentare acceso.
Ricavare sempre dalla tavoletta di legno il supporto che può essere verticale od orizzontale e cesellarlo.
Per rendere più facile questo lavoro è possibile usare in alternativa un tondino od un tubetto di metallo.
Incollare questo al fanale e questi alla nave.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Rispetto a quanto detto sopra, che è già una variazione sul costruito, abbiamo soltanto da aggiungere che è possibile illuminare il fanale.
Per fare questo il supporto deve essere costituito da un tubetto di metallo nel quale vengono fatti passare i fili della micro lampadina che generalmente si alimentano con una tensione di 3 o 12 volts in corrente continua.
Oltre a questo il fanale deve essere del tipo smontabile per permettere l’inserimento o l’eventuale sostituzione della lampadina.
Quindi ricapitolando, operare con questa sequenza:
· smontare il fanalino.
· incollare alla sua base il tubetto di supporto con colla bicomponente 5’.
· inserire la lampadina nella parte inferiore del fanalino ed i fili nel tubetto (se le dimensioni non lo permettono possiamo inserire soltanto un filo nel tubetto ed usare quest’ultimo come secondo conduttore che ovviamente deve essere di metallo).
· chiudere il fanalino.
Dal momento che abbiamo inserito una lampadina ora ci necessita energia elettrica.
Per questo scegliamo, per motivi d’ingombro, una lampadina da 3 volts e di conseguenza uno spazio per contenere due batterie tipo stilo.
Un ultimo consiglio è indirizzato alle batterie.
Tutti sappiamo che per trovare un posto accessibile, per sostituire le batterie, in un veliero è quasi sempre una dura lotta.
Convenientemente si opta nell’utilizzare batterie ricaricabili al Nickel Cadmio (NiCd) e chiuderle in maniera semi definitiva nello scafo.
Quello che invece dobbiamo ricordare è di posizionare in maniera comoda la presa di ricarica che, come l’interruttore di accensione, è ben occultabile. I nascondigli migliori sono: portelli di cannoni (chiusi al posto delle mezze canne), pagliolati e boccaporti apribili, interno o sotto le botti.

gli armamenti

Fin dalla più remota antichità l’uomo ha sempre cercato di aumentare il potenziale bellico delle proprie navi.
I greci montavano sulle imbarcazioni da guerra delle macchine capaci di tirare dardi e pietre (euthytone e palintone) quest’ultime praticamente altro non erano che catapulte imbarcate.
Anche i romani usavano le stesse armi chiamate tormentum.
Queste macchine vennero usate fino alla scoperta della polvere da sparo e, in quel periodo, come si può immaginare l’armamento imbarcato era misto.
Le prime armi da fuoco furono la cannucola e la spingarda formate da un tubo di ferro irrobustito (canna) fissato ad un lungo affusto che portava una forcella con un perno.
Contemporaneamente a queste si sviluppava la bombarda la quale non era altro che un mortaio dal tiro più o meno arcato che sostituiva la catapulta.
Le bombarde venivano costruite in tre sistemi differenti:
· in ferro, con lamiera ripiegata e saldata.
· in ferro, con doghe e cerchi come una botte.
· in fusione di bronzo, fatte con la stessa tecnica di costruzione delle campane.
Le bombarde erano montate su affusti (ceppi) costruiti con grossi tronchi di quercia scavati ed a volte muniti di ruote sulla parte anteriore.
I loro proiettili venivano chiamati pietre costituiti da vere e proprie pietre oppure da palle di ferro o di piombo per i piccoli calibri.
Vi erano poi i pezzi che più comunemente vengono chiamati cannoni i quali dal 1400 in poi subirono dei progressi molto lenti.
Dapprima le canne vennero munite di perni che consentivano il loro spostamento verso l’alto (orecchioni), poi gli affusti furono montati prima su due poi su quattro ruote.
Con questo sistema si potevano disporre i pezzi bellici in batteria per tutta la lunghezza della nave dove i calibri più grossi erano disposti sui ponti inferiori per dare maggiore stabilità allo scafo al momento del contraccolpo.
Il nome del cannone in riferimento al suo calibro era così differenziato:
· cannone intero: 177 mm.
· mezzo cannone: 159 mm.
· colubrina: 159 mm.
· mezza colubrina: 128 mm.
· sagro: 77 mm.
Intorno al 1600 i cannoni erano costruiti sia in ferro che in bronzo, questi ultimi più costosi ma più leggeri e robusti al contrario degli altri più pesanti e facili a rompersi.
Soltanto dal 1700 furono migliorati in termini di standardizzazione (quattro ruote), leggerezza e robustezza.
Verso la fine del 1700 una società scozzese introdusse delle nuove armi: le carronade.
I cannoni di questo tipo erano più corti, più leggeri e di calibro più grande.
Richiedevano una carica più piccola e meno uomini per le manovre e proprio per questo motivo vennero poi adottate sui ponti di coperta, sulle prue e sulle poppe delle navi.
GLI ARMAMENTI (costruzione)
Le armi imbarcate sui velieri non vengono quasi mai costruite dai modellisti a meno che questi non abbiano attrezzature particolari che vedremo in seguito.
Il modellista generico acquista i cannoni o mezzi cannoni nel caso di simulazione di armi poste nelle batterie inferiori non visibili dall’alto.
Il kit del cannone comprende la canna, l’affusto, le ruote e le minuterie come anellini e finte cerniere.
L’assemblaggio dei vari pezzi deve essere eseguito nel seguente modo:
Incollare le ruote agli assi se non sono tornite in un solo pezzo; se sono di diametri differenti, grandi avanti e piccole dietro è per compensare l’inclinazione del ponte.
Incollare il tutto sull’affusto e verniciare in rosso Pozzuoli opaco.
Fissare gli anellini con il gambo ai lati e posteriormente all’affusto e vincolare a questi i rispettivi canestrelli (anellini) i quali serviranno sia per imbragare il cannone che per le manovre di caricamento e tiro.
Incastrare la canna con i suoi perni nelle apposite tacche dell’affusto e sopra a questi incollare le due striscioline sagomate che simulano le cerniere.
Dal momento che in realtà le canne erano in bronzo od in ferro, necessariamente dovevano essere di colore nerastro e non lasciate del colore dell’ottone lucido come tanti modellisti purtroppo fanno.
Se le canne vendute non sono così (per fortuna sono sempre meno, anche perché il costo dell’ottone è salito) vanno scurite con l’apposito brunitore che consiste in una sostanza chimica liquida nella quale vengono immersi i pezzi da brunire dopo averli preventivamente ben sgrassati.
Lo stesso vale anche per le spingarde, le colubrine e comunque tutto ciò che era di metallo.
Una nota sul brunitore che forse non tutti sanno, negozianti compresi.
Oltre a sgrassare il pezzo come si è consigliato bisogna stare accorti a non effettuare bagni nella stessa soluzione di materiali ferrosi e non ferrosi.
Se ciò non avvenisse avremo tutti i pezzi macchiati.
Quindi è bene avere due contenitori separati che useremo uno per rame, ottone e leghe ove non sia presente ferro, e l’altro per ferro e materiali acciaiosi.
Un ulteriore chiarimento: se il prodotto è concentrato la brunitura avviene più rapidamente rispetto a quello
più diluito ma con altrettanta facilità può essere asportata.
Attenzione quindi.
Imbragatura:
Come si è accennato prima, il cannone veniva vincolato per mezzo di paranchi e gomena per trattenere il rinculo che si ha come reazione al momento dello sparo.
In navigazione veniva ritirato verso l’interno con la bocca della canna tappata ed alzata al di sopra dello sportello.
Per movimentarlo si faceva uso di due paranchi ancorati sull’impavesata, uno per lato, e di uno o due ancorato sul ponte nella parte posteriore del cannone.
Quando l’arma veniva utilizzata le operazioni che si svolgevano erano le seguenti:
tirando le funi dei paranchi posteriori il cannone veniva fatto indietreggiare; poi veniva calata la canna all’altezza del portello che nel mentre si apriva; tolto il tappo, il pezzo veniva caricato (avancarica) e puntato tramite la zeppa; per mezzo dei paranchi laterali il cannone veniva poi fatto avanzare verso il portello facendo fuoriuscire la canna; in ultimo veniva agganciata all’impavesata la gomena per contenere il contraccolpo dello sparo.
Tutto questo viene riprodotto sul modello dove, i paranchi vengono costruiti con bozzelli ad un foro da mm 2 o 3 e da filo di refe da mm 0,25 o 0,10.
La gomena per il rinculo invece deve essere di grosse dimensioni e quindi si deve usare del refe da mm 1 o 1,3 le cui estremità devono essere corredate di ganci.
A volte la scala è talmente ridotta per cui i bozzelli vengono eliminati e le manovre, eseguite con il refe passano direttamente attraverso gli occhielli.
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Le variazioni da effettuare su di un cannone sono molto importanti poiché raramente si trovano in commercio modelli che riproducono le forme ed i dettagli in maniera reale.
Infatti l’affusto viene fornito, nel kit, sotto forma di un profilato ad U opportunamente sagomato nel senso dell’altezza.
Invece tali affusti avevano una forma trapezoidale dove, la parte anteriore era più stretta di quella posteriore.
Come seconda considerazione bisogna tenere conto che nella parte posteriore veniva posta una zeppa a cuneo che permetteva, con il suo avanzare e retrocedere, di variare l’alzo del tiro.
Detto questo vediamo come possiamo realizzare questi dettagli.
Per quanto riguarda l’affusto si può realizzare con tre listelli che formano i laterali ed il fondo.
Tali pezzi vanno segati con un traforo per avere un taglio preciso e netto specialmente per i due denti dei laterali.
In effetti ad ogni dente corrisponde una traversa per cui, per migliorare ulteriormente la realizzazione, sarebbe opportuno costruire i laterali con vari listelli sovrapposti.
Fatto questo incollare i laterali sulla base e vincolarli tra loro, anteriormente, con un altro listello avente la sommità sagomata a semicerchio.
La costruzione del cuneo di elevazione viene costruita sagomando un listello quadro per poi forarlo ed inserirci una caviglia.
Anche le ruote, se il vostro kit non lo prevede, vanno modificate poiché per mantenere la canna orizzontale su un ponte curvo per forza di cose devono avere diametri differenti e più precisamente: piccole dietro e grandi avanti.
La realizzazione di queste ruote viene fatta con tondini di legno di diametri adatti secondo le dimensioni dell’affusto e la curvatura del ponte.
Quindi forare il tondino al centro con una punta da trapano da mm 2 e successivamente tagliare tante fettine per quante ne occorrono.
Tagliare poi gli assi tenendo presente che devono fuoriuscire dalle ruote di mm 1 ricavati da tondini di legno da mm 2 ed incollarci le ruotine.
E’ ulteriormente possibile attrezzare un cannone con gli accessori per il caricamento e la pulizia della canna.
Possiamo costruire:
· il callatoio, con un filo di acciaio armonico da mm 0,5 -0,8.
· lo scovolo, con un filo di acciaio armonico da mm 0,5 - 0,8
· per il manico e l’estremità formata con colla bicomponente intrisa da peli di pennello fine (naturalmente vecchio).
· la lanata, utilizzando uno spillo per manico ed incollando parte di un batuffolino di cotton fioc
· il cavastracci, ricavato interamente da un filo di acciaio armonico da mm 0,5
· la cucchiara, formata sempre con un filo di acciaio armonico da mm 0,5 - 0,8 ed un tubetto di ottone tagliato nella parte superiore oppure da un profilato ad U ripiegato.
Considerazione importante: occhio alle misure!

le cucine

Anche se in realtà in epoche antiche si faceva largo uso di cibi conservati, in maggioranza sotto sale, già dal 1400 circa si faceva usavano i bracieri per avere una minima occasione di cottura.
Nelle cocche, caracche e caravelle il focolaio consisteva semplicemente nell’avere un fondo predisposto per far brace al disopra del quale tramite ganci vi era sistemata una griglia per poggiare cibo e pentolame, il tutto protetto da tre pannelli metallici verticali come protezione contro il vento.
Tipicamente questi bracieri erano posizionati tra l’argano orizzontale salpa ancore ed il pagliolo o la scialuppa.
Successivamente, circa tre lustri dopo, questo braciere si trasformava in quella che si può dire cucina.
Intanto trovava una collocazione più consona, vale a dire nel locale ricavato all’interno del castello di prua, quindi in luogo riparato dagli agenti atmosferici esterni.
La costruzione era migliorata essendo formata da mattoni refrattari con architettura pensata per agevolare l’utilizzo.
La fuoriuscita dei fumi era assicurata da un pagliolo disposto al di sopra di questa (sul ponte del cassero di prua).
Successivamente questo sistema venne abolito e si cominciarono ad installare delle cappe con il fumaiolo che attraversava il ponte del cassero di prua fino all’altezza del capodibanda.
Dopo il 1700, nei vascelli, la cucina venne ulteriormente migliorata (con grandi calderoni rivettati ed a volte anche sezionati) ed affiancata ad uno o due forni.
Se c’era soltanto un forno questo era adibito alla cottura del pane, se ne erano due il secondo (più piccolo) era per la pasticceria.
La disposizione era sempre la stessa per la cucina, un forno, quello della pasticceria, era affiancato a questa mentre l’altro, quello del pane, prendeva posto sul secondo ponte.
LE CUCINE (costruzione)
Dal momento che questo particolare non è quasi mai menzionato nei piani costruttivi, dobbiamo quindi esclusivamente costruircelo.
Si rimanda la trattazione alla successiva: variazioni...
VARIAZIONI SULLA COSTRUZIONE
Costruire il focolaio più antico è abbastanza semplice.
Ritagliare su lamierino di rame dello spessore di mm 0,2 una sagoma comprendente il fondo ed i tre laterali.
Ripiegare formando una sorta di scatola senza un lato e saldare alla base i due laterali.
Costruiamo una griglia con fili di rame (vanno bene quelli elettrici) della stessa misura della base.
Brunire tutte le parti.
Incollare sotto la base tre listelli di noce di mm 1x2 oppure 2x3 (secondo le dimensioni del focolaio) facendoli fuoriuscire di circa un millimetro per lato.
Incollare, per spessorare, un listellino per lato di mm 1x2 di noce all’interno dei laterali e sopra a questo la griglia.
Per la cucina in mattoni prendere un listello di tiglio di mm 2x2 ed intaccarlo con la lima triangolare ogni 4 o 5 millimetri.
Tagliare detto listello in tante parti, che disposte le une sulle ed a fianco delle altre, formano un rettangolo e due se la cucina è posta al fianco del fasciame o tre se è disposta al centro, muretti laterali.
Verniciare tutto in rosso mattone evidenziando qua e là qualche mattoncino più scuro e praticare il lavaggio già descritto in altre occasioni in questo testo.
Al di sopra del rettangolo costruire ed incollare la griglia.
Costruire la cappa, se necessario, tagliando da lamierino di rame mm 0,2 la sagoma adatta secondo la forma che si vuole ottenere, ripiegare e saldare sui punti di giuntura dopodiché brunire.
Per le grandi cucine oltre a costruire la parte, diciamo così, in muratura e la cappa anche se in forme diverse, dobbiamo implementarla con il calderone.
Questo sarà costruito ricavando la forma da un listello di dimensioni adeguate il quale sarà poi trattato con turapori.
Dopo aver levigato con carta abrasiva n°800 applicare delle striscie metalliche di rinforzo, gli anelli per il trasporto o spostamenti e verniciare il tutto in nero opaco.
Per i forni invece la costruzione è completamente diversa.
Trattiamo ora la costruzione di un forno del pane o del dolce che sia poiché l’unica differenza tra i due è soltanto la dimensione.
Costruire un cubo di dimensioni adeguate al modello, in modo che entri tra i ponti, e rivestirlo in tutti i lati, eccetto il fondo, con listelli mm 0,5 x3.
Fare l’imitazione delle chiodature sulle estremità.
Ricavare da compensato o tavoletta dello spessore di mm 1 l’imboccatura del forno.
Incollarla su di un lato in modo che la base risulti a metà altezza.
Incollare sotto di essa un listellino per formare una mensola di appoggio.
Annerire l’interno dello spazio formatosi (portellino d’ingresso).
Per migliorare la finitura del portellino, questo sarà metallico, brunito e provvisto di manico ricavato da un filo di rame.